25.3.11

Nina's Dream

A volte si scrivono cose per non scriverne altre.
Non che dici bugie nel mentre, ma sono come passaggi interpolati da un pensiero alla sua evoluzione espressa. In un disegno, nel suo racconto, per me il più delle volte è così.

Sere fa ho ritrovato vecchi amici per una festa di laurea. Soprattutto uno. Uno di quelli che in quell'epoca da liceale, se lo trovi, "ti salva la vita". Non è palese, ma ci si salva, assieme. Uno di quelli che conosci nella sua fibra più profonda, così profonda che ora non si vede più. Uno di quelli che t'ha disegnato un po' l'anima e l'immaginario. Uno di quelli con cui hai le vene così legate che non pensi si finisca lì, a qualche anno dopo la maturità, che il nodo si sciolga sfumando via, e che le strade si trasformino separandosi.

Fatto sta che, per una magia nera inconsapevole, ciò è avvenuto, in silenzio, sottovoce: come quando uno cresce, e adesso che il viso s'è allungato e il punto vita affinato tu non t'eri mica accorta mentre accadeva.
A pensarci non stai bene e non stai palesemente male, perché in realtà non è successo nulla di brutto che portasse alla separazione; semplicemente c'è stata, e adesso non sai più nulla dell'altro, o il poco di superficie.

Eppure, ti dici, lui sa come, quanto e perché il mio corpo e la mia mente sono come sono ora. Anche se non sa come sono ora.
Voglio dire, è assurdo. E l'assurdità, e non il malore, è nel divario del tempo e nel confronto tra i due noi di oggi e i due noi di allora. Ne ho perso l'interpolazione.

È come guardare da lontano un cerbiatto che un tempo hai fatto crescere, senza poterti avvicinare. Se ti avvicini non sai più bene cos'accadrà. Come se quell'epoca d'allora e dell'assieme sia avvenuta, è stata. Hai provato a ripescarla, ma be' è andata. Ed il cambiamento è così profondo e assieme sfuggente, e forse connaturato alle ricerche di ognuno, che non si dice.


Allora lo guardi, nel cerchio di sedie di un bar vicino al mare di fine inverno, con tutti attorno che non sai come si chiamano, e tu di fronte a lui, agli antipodi, fingi nulla, giri il bicchiere di vino freddo, scherzi e muovi il palloncino-di-festa legato alla tua sedia, ma intanto lo guardi.
Lo riconosci in tutto, all'altro estremo di un ponte di anni, come vibra le gambe quando sta seduto, come sempre in procinto di dire è tardi devo andare, sembro nervoso ma non lo sono, le cosce lunghe, quelle che facevano tremare il banco e tu con la manina le fermavi, a placare l'onda che ogni minuto lo scuoteva; le mani che si curvano, con la punta delle dita all'insù come un arco teso, il corpo del ragazzino già alto e grande allora, ma bambino, che ancora se lo porta dentro, che si ingobbisce sulla sedia, che sorride placido a una battuta altrui che non fa ridere ma che accompagna con una risata "buona".
Lo ritrovi, e stai nascosta.

E poi passa tutto il tempo di mezzo, come nulla fosse, ognuno assieme alle persone del proprio presente, fin a quando ci si saluta, nel rito del congedo simile a tutti. E qui lo sguardo finalmente s'incrocia, e resta disegnato nell'aria, sopravvive.
Dura una frazione di più di coscienza, che porta tutti gli anni dentro, in cui lo sento che mi dici stai bene, voglio che tu stia bene, ma non lo diciamo.
E riemerge quella sensazione netta, ancora una volta salvifica, che tu conosca il bene per me.

"Gli occhi non sanno vedere quello che il cuore vede, la mente non può sapere quel che il cuore sa".

Pensiero vitale, che placa la tempesta del tempo. Io dico che è la carezza sul dorso del cerbiatto.


"With half-damp eyes I stared to the room
Where my friends and I spent many an afternoon,
Where we together weathered many a storm,
Laughin' and singin' till the early hours of the morning.

By the old wooden stove where our hats was hung,
Our words were told, our songs were sung,
Where we longed for nothin' and were quite satisfied
Talkin' and a-jokin' about the world outside."

(Bob Dylan's Dream)

****

Perché non mi dimentichi questa poesia, letta oggi 8 Aprile, giorni dopo la pubblicazione e l'ispirazine di questo post: vedi qui, perché è così.

*

23.3.11

Riflessi(oni)

borges illustrazione specchio
Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro col volto d'uomo? O sarà come me?

(J.L.Borges)




*


21.3.11

Love song

illustrazione amore ballarini

L'albero m'è penetrato nelle mani,
La sua linfa m'è ascesa nelle braccia,
L'albero m'è cresciuto nel seno -
Profondo,
I rami spuntano da me come braccia.
Sei albero,
Sei muschio,






*

15.3.11

Nascondina


(Ognuno ha le sue tane preferite. Funzionanti o no, ti proteggono. Come la frangetta che ti copre la fronte, o lo scialle che t'aspetta sul letto. Poi però arriva il vento che ti scopre, e il mattino che ti sveglia. Insomma un nascondino che ha un tempo finito, perché alla fine ti si vede, c'è qualcuno che fa tana per te. Oppure incosciente ti fai trovare. E insomma non è detto che sia cosa brutta. Tutt'altro.)


*

11.3.11

Esame di coscienza

 illustrazione fashion regista montaggio star

4.3.11

Cliff viewing point

Racconto confuso del mio viaggio in Irlanda, come la vista dalla rupe, tempestosa scrosciante. 
Ci passa un gabbiano ogni tanto, mentre tu guardi dal balconcino belvedere, lui vola lento e non ha paura della vertigine.
disegni irlanda viaggio

Ho incontrato le pecore di Chagall. Erano dipinte di rosa e di blu per riconoscersi, davvero.
Colorate a testa in giù inerpicate placide dallo sguardo dolce attento sapiente, sul ciglio della strada, sotto il cespuglio per l'acquazzone, ti guardavano per un po' e poi via, the show must go on.
La pioggia e l'arcobaleno, rapidi ripetuti doppi, squarciavano cielo e bagnavano i capi, per noi la meraviglia, per gli irlandesi il cielo di sempre.
La pioggia in mare, un flusso di coscienza d'acqua, lo vedevi netto, verso giù o verso su, non importa.

La terra sempre bagnata, morbida, to merge in. 
L'acqua nella terra, che sabbia o terra e mare, oceano anzi, erano una cosa sola, e pure io.


C'è un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento, dove le domande aspettano ancora, e non ho capito perché, eppure heaven knows it's high time.





Cliffs, "dangerous cliffs, extreme caution is necessary", le rocce sul mare, il vento ghiacciato, il cappello dove nascondersi, il braccio a cui appoggiarsi come quello di Bob Dylan su freeweelin'.



Un faro, bianco piccolo basso grassoccio, che perdeva i contorni con la luce del cielo, pure così bianca, e io ci ho riso tanto sotto, perché era il secondo faro che conoscevo dal vero.

Strade infinite, netto confine tra terra e cielo, dove ogni albero era una persona, che tanto lo so che gli alberi tutto sanno, imperturbabili testimoni; e tu così in alto sulla linea dell'orizzonte che non sembrava poi essere così lontano la nuvola che stava sopra.




This year's love had better last
Heaven knows it's high time
And I've been waiting on my own too long
But when you hold me like you do
It feels so right
I start to forget
How my heart gets torn
When that hurt gets thrown
Feeling like you can't go on









Piccoli muretti di pietra, labirinti superabili. Bassi e affrontabili, aperti e accoglienti, seppur barriere. 
Se avessi avuto grandi mani avrei disegnato con i sassi su quella terra infinita, geoglifi nineschi di una nuova era.






Una canzone spesso è passata, che non ascoltavo da tempo, perché anni fa aveva segnato tanto, ma non era legata poi a nulla in fondo, per cui me l'ho ritrovata lì a chiudere un altro punto del cerchio e a ritrovare il senso.

Turning circles when time again
It cuts like a knife oh yeah
If you love me got to know for sure
Cos' it takes something more this time
Than sweet sweet lies
Before I open up my arms and fall
Losing all control
Every dream inside my soul

And when you kiss me
On that midnight street
Sweep me off my feet
Singing ain't this life so sweet?


(Il gabbiano torna dalla rupe e segue il vento. "Che quel gabbiano aspetti, gli porterò il cielo più bello" mi tornava spesso in mente lassù.)


*

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...