
Spiegava come farlo, in quanto esempio di metodologia applicata, Bruno Munari, in "Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale" (Laterza,1981).
Della serie "tout se tien", che ne è un pò la traduzione.
Ma è un risotto verde "interpretato" questo, un pò segreto, di un mio caro amico.
Quando sono in Inghilterra, come ora, è una tappa che adoro ripercorrere , come una coccola dai passaggi ormai conosciuti, in cui ogni piccolo particolare è ormai un piacere che già mi manca mentre lo vivo.
In genere arriviamo alle ore 20.15 nella casetta di Bray, sulle rive del Tamigi.
Ieri era tutto buio e non si vedevano nè i cigni vicino al molo, nè i camerieri dirimpettai, che trafelati di solito corrono dal portone della dispensa alla porticina delle cucine del Waterside Inn.
G. aspetta sempre noi per cominciare la preparazione.
In realtà noi due siamo solo umili aiutanti, ma di meglio dice che non ha trovato mai.
G. è un pignolo perfezionista calcolatore matematico amante della cucina e dei risotti.
G. mi ha passato più di tutti questa passione.
E' un po' come guardare il proprio guru a lavoro, anche se quel lavoro non è il suo di professione, e il tuo non è un credo spirituale.
Mentre taglio le erbette, quelle di una fragranza che sempre mi sorprende e mi fa le punta delle dita quasi verdi, Linton gratta il parmigiano, prepara un aperitivo con i salumi che offre la casa, e versa il vino nei calici.
Si accende Bob Dylan di sottofondo. Ormai anche lui è un habitué della cena del Risottoverde.
(The Time They Are A-Changin' sentivo più di tutto cantare ieri)








Quello che più amo di questa casa, sono i ricordi che si sono attaccati nel tempo alle pareti rosse come il vapore di un cibo buono che cuoce, alle piastrelle bianche rigate di nero della cucina, al tavolo di legno dall'eccellente disordine goloso che riusciamo a creare ogni volta nella preparazione di un semplice piatto, ma che per noi è un ritrovo, un rito, un pezzo di stagione.
Ognuno è in realtà lontano dalla propria vera casa, e i pensieri colmi di tante cose son altrove; ma lì, un tassello di storia nostra, pura, solo di noi 3, riusciamo a ricrearla.
In quel luogo, e in quel modo.
Riconosco gli strofinacci appesi, le tovagliette americane apparecchiate sul tavolino basso del salotto, perché l'altro è sempre troppo pieno per mangiarci (e in realtà non ci vorrebbe molto per liberarlo, ma ormai, poco da fare, ci piace così).
Io seduta al centro per terra su un cuscino, Linton alla mia destra, mentre G. arriva con l'ultimo piatto, da appoggiare sulle gambe, perché lui se ne sta in poltrona col suo grembiule color avion.
Non scrivo la ricetta perché bene non sarebbe scritta, e perché così forse abbandonerei il ruolo di aiutante osservatrice ammirata, che invece cambiar cappello non vuole proprio.
Chissà se lo farò mai io da sola quel risotto là.
Quello di cui scrivo è solo una nostalgia del presente, colori che si attraversano si intagliano si assaporano si cuociono si mescolano nella memoria mia, e che voglio fermare, ora, prima che "ecco son già fuggiti", come il piatto finito e la forchetta che ripassa ancora e ancora sulla scia che ha lasciato, intenta a non perderla e non esserne mai sazia.
Buona serata a voi che passate di qui, e che magari un Risottoverde avete già.