
Le lacrime di Nina Cerbiatto hanno una temperatura dal calore stabile, un po' infuocato, e scendono molto lentamente. Di solito aspetta a dar loro il via, non si accorge nemmeno: a un tratto si sente il muso bagnato, guarda in alto e non sta mica piovendo - anche perché la pioggia è fresca, sempre.
Se l'impossibilità avesse una temperatura, sarebbe quella delle lacrime di Nina Cerbiatto, impossibilità impastata e succosa di volere e sapere. È un cerbiatto misterioso che cammina per i boschi, ma sa bene ciò che vuol dire casa: torna spesso a vedere il posto a cui sente di appartenere, se per caso è cresciuto qualche albero dalle radici visibili dentro le sue stanze, sotto la cui chioma riposare.
È stata cerbiatto a Parigi, Nina, giorni fa. Ancora una volta al bordo di un bosco, delle mani amate l'hanno riportata di nuovo lì sul confine, a dirle non ti curar di nulla, vai e fai quel che vuoi.
Il cerbiatto ha guardato, ha pensato, e le è sembrato tutto un po' strano. Ogni volta crede di capire, e poi capisce che non ha capito. Forse perché è cerbiatto, è piccola lei. Forse.
È che quella storia l'ha sentita un milione di volte, ti raccontano che l'uomo lascia il cerbiatto curato e nutrito andare via libero per il bosco, nel suo ambiente naturale, e così è giusto che sia, e non voltarti mai, vai, corri! e cose del genere.

Perché allora, mani, non fate costruire delle briglie fiorite e lo tenete con voi?
A questa domanda non posta, un po' di ore dopo, mentre smangiucchiava lamponi da un cespuglio, Nina Cerbiatto si è sentita il muso bagnato e infuocato.
"Non dico mai le cose al momento giusto", pensa. Sbatte le ciglia, pesanti di interrogative e silenzi, ci cola via la finta pioggia, e si immerge di nuovo nella boscaglia. Qualche foglia da disegnare col muso appuntito sulla terra bagnata la troverà.
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