È una lunga storia questa, per un sabato quasi estivo.
Mettetevi comodi, scegliete una tazzina, che oggi è un po' la protagonista. Fingete di essere in vacanza lì dentro, una piccola gitarella fuori porta; versate del tè, della limonata, delle bollicine, nuotate e ascoltate.
Oggi Nina compie
tre anni: 1 anno per le radici, 2 anni per il fusto, 3 anni per i rami, ha deciso.
E quando i rami si tendono sul fiume, lì nascono foglie, e queste foglie si guardano indietro e raccontano al
cigno che nuota per quelle acque gli anni passati a crescere.
Il
primo anno mi avete portato
fiori, il
secondo anno vi ho portato
conchiglie. Mentre i primi continuano a crescere e le seconde ad arrivare a riva, questo terzo anno è per un
racconto, o meglio una
prefazione, a tutto ciò che avete letto e sentito fino ad ora.
"La prefazione è una specie di valigia, un nécessaire, e quest'ultimo fa parte del viaggio: alla partenza, quando ci si mette dentro le poche cose prevedibilmente indispensabili, dimenticando sempre qualcosa d'essenziale; durante il cammino, quando si raccoglie ciò che si vuole portare a casa; al ritorno, quando si apre il bagaglio e non si trovano le cose che erano sembrate più importanti, mentre saltano fuori oggetti che non ci si ricorda di aver messo dentro. Così accade con la scrittura; qualcosa che, mentre si viaggiava e si viveva, pareva fondamentale è svanito, sulla carta non c'è più, mentre prende imperiosamente forma e si impone come essenziale qualcosa che nella vita - nel viaggio della vita - avevamo appena notato."
Questo qualcosa è una tazzina di caffè.
Nina non è il mio nome, e non lo è stato fino a 3 anni fa. È nato poco prima di questo blog, e ora direi che è nato
per.
Mi ha chiamato Nina per scherzo, come si dice oh, Nina, oh Nino, oh
Nì! per semplicemente chiamare, chiamarti senza appellarti, farsi accorgere. Come il paradigma di nome, un non-nome, un appellativo che può valere per ognuno. E poi assomigliava a un disegno, ché se lo scrivo corsivo sembrano onde. Allora quando capita che ci si ritrovi nei disegni di Nina, ché Nina "non disegna solo per sé ma per tutti", ecco che combacia col nome che s'è scelta, col suo
destino.
Nomen omen.
Francesca, che vuol dire
libera, è un altro
nomen omen, e non solo per l'etimologia.
Anni fa Francesca aveva preso un'altra strada, dopo esser uscita dalla sua speciale università, piena di quell'arte applicata che ti mette tanto nelle mani, poi devi scegliere tu cosa farne.
Prima che potesse pensarci sul serio, si era ritrovata a pochi giorni dalla laurea a lavorare in un'azienda di
giocattoli, di quelle grandi con gli uffici openspace, con winnitehepooh, topolini e fatine, a disegnare quel che le dicevano. Erano briglie
sperimentali, ma non troppo. Erano in anticipo, e lei lo sapeva.
Una borsa di lavoro in Francia venne a rapirla, lei che tanto la sognava, lei che tanto voleva viverla ma senza ancora sapere
come.
Si trattava di lasciar tutto e volare a Bordeaux, a cercare quel che non aveva avuto tempo di cercare, e magari col rischio pure di non trovare.
Fosse stata più grande e più irretita dalla contingenza, chissà, forse sarebbe rimasta. Invece se ne partì, fece fagotto e prese la strada più incerta, si sciolse le briglie di dosso e seguì una luce di
crepuscolo che poteva promettere di più, o semplicemente svelarle chi era.
"Anche una passeggiata sfugge al controllo preciso d'un disegno e di una volontà, perché non si può sapere se e cosa, al primo incrocio, farà deviare dal percorso previsto. Tutte le cose fondamentali - l'amore, la felicità, la sofferenza - accadono per caso o per grazia, quando si lasciano cadere le briglie e ci si lascia portare dalla vita come un bastone nelle mani d'un viandante."
Passarano quei mesi di vita francese e passarono in un modo intenso e riflessivo.
Ricordo che mi guardavo intorno e cercavo specchi. Disegnavo quel che volevo disegnare seduta nella galleria di arte in cui lavoravo, o in un'ipotetica
Place Clichy, oppure dentro il bus numero 9, e intanto riprendevo il mio tempo.
Quando cerchi la tua strada la puoi pure trovare tra le aiuole silenziose di un jardin botanique, sulle righe che lasci sull'asfalto con le ruote della bicicletta che perennemente perdeva grasso - e io lì a rovesciarla e rimetter la catena, a notte fonda. Serve pure quello.
Lì in Francia trovai la strada per un altrettanto caso. Una via un po' eterea, lastricata di fiori, non definibile in una parola sola, o almeno non allora quando la ascoltai, perché mai l'avevo saputa vedere prima.
Alla galleria d'arte insegnavo ai bambini piccini a pitturare e a scarabocchiare - che quello mi viene bene. La madre di uno di loro, forse incuriosita da quella ragazzetta italiana che aveva qualcosa di ancora non vissuto da raccontare e che tanto disegnava silenziosa, mi invitò per un caffè,
«ché magari mio marito può darti dei consigli, lui è insegnante all'Accademia
».
Forse avevo perso l'informazione nella traduzione, ma di lì a poco avrei scoperto che suo marito era anche e soprattutto un celebre artista, un disegnatore sperimentatore, di cui, tra l'altro, proprio la sera prima avevo assistito a un mirabolante happening di disegno e musica.
Per questo insieme di casi e sliding doors, insomma, mi trovavo ora a un Cafè della Bordeaux antica, seduta a un tavolino tondo, assieme alla donna gentile e a suo marito Michel, dalle sopracciglia nere scurissime, serio di un'espressione severa, ma in realtà dolce perché perennemente altrove, con dentro un potere impassibile da oracolo, tipo
quelli della Storia Infinita che ti vedono dentro.
Mi guardava negli occhi e mi chiedeva cosa volessi fare, così, come a dire
ehi, ciao. Cos'è che cercavo nell'arte, nel mondo, perché ero arrivata fin lì?
Avevo il mio taccuino sotto, come se fossi a una lezione e dovessi prendere importanti appunti. Avevo sete di conoscere e di sapere, avevo l'amo pronto per cogliere non sapevo cosa.
Risposi
«L'illustratrice
», senza esserne davvero sicura, mi annoiava in realtà dire una parola che dicevan tutti, e sapere che non sapevo ancora farla come volevo.
Michel mi prese il taccuino da sotto gli occhi, e vide disegnata a bordo pagina la tazzina di caffè appena bevuta, con il fondo di una goccia che avevo pressato come un cerchio sulla carta. Il mio sovappensiero.
La guardò, e disse che io ce l'avevo la risposta, ma non era quella che dicevo. Quella tazzina parlava per me.
Perché
illustrare, perché disegnare parole di altri? Fermati prima.
Racconta la tua storia. Racconta di te, come fa quel cerchio di caffè e la tazzina che hai disegnato sopra. Racconta quello che mi stai dicendo, quello che lascia quella tazzina. Non occorre altro, lì dentro ci sei tu. Lo sai fare, fai quel che sei tu.
Cristallino. Nina San Paolo sulla via di Damasco.
Abbandonare l'idea di
applicare un'arte per qualcos'altro, per qualcun altro, e fare di quell'arte che amavo, il disegno, la
mia arte. La mia espressione non solo nella forma, ma anche nel contenuto.
La semplicità di quell'invito fatto proprio a me - cresciuta tra fogli in cui finalizzare ogni segno, mentre quelli miei li lasciavo a bordo pagina, o in un orecchio di foglio scarabocchiato, nel retro del progetto di un prodotto - mi stese.
Mi brillò gli occhi. Trovai il mio specchio, a bordo pagina.
Questo blog è nato un anno e mezzo dopo, quando tanti disegni erano stati fatti, e quel monito di
Michel Herreria, con la sua maglietta blu elettrico (la stessa di quel giorno,
ndr) rimase impresso come un'illuminazione, e non dovevo più ogni tanto andare a ricercarlo. Semplicemente c'era, un sentiero si era creato, un modo di vedere le cose e
onorarle.
"Scrivere è trascrivere. Anche quando inventa, uno scrittore trascrive storie e cose di cui la vita lo ha reso partecipe: senza certi volti, certi eventi grandi o minimi, certi personaggi, certe luci, certe ombre, certi paesaggi, certi momenti di felicità e disperazione, tante pagine non sarebbero nate."
Tutto questo per dirvi che Nina così è nata, prima il suo senso, e poi il suo nome.
Quella parola sola che allora non si diceva, del nome di quella strada nuova, eterea e lastricata di fiori, che Michel Herreria mi fece vedere, era questa, è
Io & Nina. Da qui sono usciti e continuano a uscire
arcobaleni.
E quel che Nina racconta è davvero quel che fa bella la sua vita, le sfumature che la abitano, dietro alle quali sta la risposta a tante cose, che pian piano capisce. Ché la verità è la chiave di tutto, e ciò che Francesca cercava l'aveva già in sé.
"Il viaggio è anzitutto un ritorno e insegna ad abitare più liberamente, più poeticamente la propria casa."
Grazie a voi che avete conosciuto
Io & Nina, e ancora la portate fiera e felice fino a qui.
F.
p.s. E domani, per festeggiare Nina (che, come avete imparato oggi, siamo tutti), andate a votare :)!
(Le citazioni appartengono alla penna adorata di Claudio Magris)