
Ci vuole leggerezza per fluire sulla pagina.
A volte poi si approfitta di un sacchetto di sassi, accumulato in un'ora in un mese in un anno o più, e fai solchi sulla terra per segnare. Ora è quel momento se questo schermo fosse fatto di zolle.
C'è una cosa con cui io ce l'ho a rabbia. La stasi, che non è un'attesa ne' una pausa. È il ri-stagno critico che porta dentro un'impotenza, come un fiume che smette di correre per un po', difficile quantificare per quanto, è bloccato, e pare che manchi il respiro a tutta la Terra in quel tempo lì.
E tu lo guardi fermo, e non vedi pensieri laterali: non ci sono massi da togliere, orologi scarichi da caricare, terra da smuovere a trovare un nuovo corso.
Per lo meno niente di visibile, ora.
Poi viene fuori, confido sempre che venga fuori perché se è un fiume, un fiume scorre.
E allora confido pure in questo, che l'anima delle cose non può essere cambiata, per cui il fiume resterà fiume, e allora troverà il suo corso.
Ma quando c'è la paura non si muove un'aria. Perché è la durata, il per quanto sarai immerso in quello stagno che non sai. Non si sente nulla, non vola una mosca, non naviga una foglia, un ramoscello arenato per poco, un uccellino che si bagna al volo perché è caldo, tanto caldo, e l'acqua che scorre è l'unica musica che vuoi.