Questo è un passo che ho sempre citato a chi sapevo avrebbe capito, e a cui ho sempre creduto. Lo riporto, non so se esatto, ma non ho con me il libro dalla copertina rossa e nera sgualcita per controllarlo.
E poi leggere tutto, il tutto che c'è prima nella storia, vedere come si arriva a questo pensiero ne aumenta la forza. Così da solo può sfiorire, ci vuole quell'acqua che lo fa giungere limpido come una corrente fin a qui.
Fatto sta che io i miei cerini ne ho, a volte mi sembra di averne fin troppi in tasca aspettando che si mettano loro da soli in mano mia e prendano fulgidamente fuoco.
Penso di avere più o meno sempre, o essere capace di trovare, le candele adatte; Nina è molto brava in questo, a volte esagerata tanto da rasentare l'ingenuità; può scovarle in ogni luogo in uno sguardo una pietra un suono un odore e farne un circo colorato e inchiostrato.
Ma poi c'è Francesca che passa più tempo ad attendere di comprendere quale sia l'ossigeno che, costante, li brucerà tutti felicemente, dal primo all'ultimo.
"Benché nasciamo con una scatola di cerini dentro di noi, non possiamo accenderli da soli; abbiamo bisogno di ossigeno e dell'aiuto di una candela.
L'ossigeno deve provenire, per esempio, dal fiato della persona amata; la candela può essere un tipo qualsiasi di cibo, di musica, di amore, di parola o di suono che faccia scattare il detonatore che è in noi.
Ogni individuo deve scoprire quali sono i detonatori che lo fanno vivere, poiché è la combustione che si produce quando uno di essi si accende a nutrire di energia l'anima.
Se non scopriamo in tempo quali sono i nostri detonatori, la scatola di cerini si inumidisce e non potremo mai più accendere un solo fiammifero".
(Come l'acqua per il cioccolato - L. Esquivel)
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